Tappi di sughero trapanesi, la scelta dei vini doc

Le migliori cantine acquistano da un’azienda di Castelvetrano
TRAPANI (8 ottobre 2008) - Fanno tappi classici ed elaborati da più di un secolo. Non i «tappi» dell’accezione obliqua della parola, ma turaccioli. Sono i prodotti dell’Officina maestri sugherai Bua di Castelvetrano (Trapani) che escono in grandi sacchi diretti in Slovenia, dove c’è la “Movia”, uno dei 60 più importanti produttori di vino del mondo, in Croazia, Macedonia, Spagna, qualche carico per il Sudamerica e il Giappone, verso il Nord Italia. I destinatari sono nomi illustri della nomenclatura enologica: Pepe Montresor, Elio Filippino, il trentino Iacuzzi, Manuel Ortiz (rosso Riojia), Ribeira del Duero, solo per citarne qualcuno. «Abbiamo fornito anche inglesi e francesi – dice Vito Bua – come Rankin Brothers, Holley & Son, la Compagnie Royal du Lieges. Da Roma in giù siamo rimasti soltanto noi a fare tappi di sughero di qualità. Gli altri costruiscono turaccioli “tecnici”, cioè di silicone, plastiche, alluminio, ferro, ora anche di vetro». Sotto i capannoni si sente l’odore lieve e pizzicante del sughero, montagne di tappi, anche piccoli, piccolissimi e giganti. Oltre a quelli per le borgognotte, bordolesi e renane, ci sono i turaccioli per bottigliette, barili, damigiane botti di rovere. Escono da macchinari moderni, colorati di un verde speranza, ma anche da lucide «ferraglie» del secolo scorso, ancora asservite al calibro. «È tutto sughero siciliano – spiega Gaspare Bua, padre attivissimo dei fratelli Vito, Andrea, Giuseppe e Riccardo che con altri tre dipendenti fanno funzionare l’officina – è il migliore del Mediterraneo insieme con quello sardo». Distese di sughero nei cortili sotto il sole, con i profili come onde rossicce e odorose. Lì in attesa di perdere l’umido dei muschi. Vengono dai querceti dei Nebrodi e delle Madonie, dalla borgata costiera di Mazara del Vallo, dai boschetti della contrada Fontanelle di Castelvetrano, da Dìmina Belice, dall’Anginbè di Calatafimi, dal trapanese bosco di Scuraci e da quello calatino di Santo Pietro. Luoghi “spopolati” dalla II guerra mondiale, ma caparbiamente ricresciuti. Non è semplice la vita dei sugherai. Specie di quelli, come i Bua, che vanno a scegliersi gli alberi e li “scorticano” loro, fidandosi della sapienza accumulata in un secolo.
Il sughero e la produzione Il “sughero maschio”, il primo prodotto dalle piante, serve solo per il presepe. Bisogna aspettare altri 12 anni per raccogliere il “sughero femmina”, quello buono, compatto, del quale non si butta niente perché anche le briciole diventano agglomerati per l’edilizia. C’è una grande battaglia in corso da anni: tappi di sughero o di plastica? Quello “alternativo” ha grandi vantaggi rispetto al sughero: costa meno, si fabbrica in poco tempo, viene ritenuto più ermetico del rivale. Ma non ci sono ancora notizie sulla “lunga conservazione”; e questo “vuoto” gioca a favore del sughero, almeno per i vini pregiati, i Docg (denominazione di origine controllata e garantita), «perché ora – osserva Vito Bua – anche i Doc possono essere messi in brik o nei bag in box di plastica odi alluminio». L’officina continua il suo rapporto secolare con il sughero. Cinque linee di produzione, due standard e tre speciali: Bacco e Dedalo; Tirso, Afrodite e Crono. Selinunte con i suoi templi è a una decina di chilometri; c’è confidenza tra la classicità e Castelvetrano, si vede anche dalla collezione di templi di sughero sistemati nell’azienda in attesa di diventare museo, intitolato al maestro Gaspare Bua, seguito da tre generazioni. Tappi fabbricati secondo il Codice internazionale delle procedure, un disciplinare deciso dalla Confederation Europèenne du Liege, che prevede nove passaggi che salvaguardano qualità ed ecologia. Li troviamo nelle bottiglie Faraci e Burgio di Mazara del Vallo, Carlo Martinez e Agri & Enopoint (Imbottigliatori), Vinci Vini e Siv di Marsala, Monte Olimpo di Sambuca e su altre piccole aziende emergenti. «Sì, diminuiscono le quantità di prodotto – ammette Vito Bua – ma aumenta la qualità: i nostri bilanci, grazie anche alle commesse estere, non soffrono, possiamo continuare a sorridere». (Fonte Terrà)

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