3° aniversario della morte di Papa Giovanni Paolo II°


Oggi ricorre il 3° anniversario della morte di Papa Giovanni Paolo II°. Il 20 novembre 1982 Egli venne nella Valle del Belice pronunciando la seguente Omelia:



Fratelli e sorelle della Valle del Belice!
1. “Grazia a voi e pace da Dio nostro e dal Signore Gesù Cristo” (1 Cor 1, 3). Si compie stamani un desiderio che ho coltivato a lungo nel cuore: quello di venire nella vostra terra, sconvolta dal terribile sisma del 1968, per recarvi la testimonianza del mio affetto e per incoraggiarvi nel generoso impegno con cui state lentamente sollevandovi dalle conseguenze di quel doloroso evento. Sia lodato Iddio che mi concede la gioia di quest’incontro con voi tanto caloroso e cordiale!
Saluto il Vescovo di Mazara del Vallo, che ha così efficacemente interpretato i sentimenti dei confratelli delle diocesi di Agrigento, Monreale e Trapani, come pure di tutta la popolazione della Valle e, in particolare di voi, carissimi, che vi siete dati convegno nello stupendo scenario di questo angolo pittoresco della Sicilia. Rivolgo altresì un deferente saluto alle Autorità presenti e ringrazio il Sindaco di Calatafimi che, anche a nome dei colleghi dei Comuni colpiti dal terremoto, mi ha dato il benvenuto con nobili espressioni, che ho molto apprezzato.
Saluto i sacerdoti, i religiosi e le religiose, che condividono quotidianamente le tribolazioni, le gioie e le speranze del gregge loro affidato. Saluto voi, Uomini e Donne di questa terra, che avete vissuto l’esperienza sconvolgente di quella notte tra il 14 ed il 15 gennaio del 1968 ed avete affrontato, senza lasciarvene piegare, gli indicibili disagi che ad essa hanno fatto seguito in tutti questi anni. Saluto in particolar modo voi giovani, che muovevate allora i primi passi nell’esistenza o che non eravate nati ancora: il futuro della Valle del Belice è nelle vostre mani!
2. Ho voluto che la mia prima sosta tra le genti della Sicilia fosse qui, nella terra del Belice. Non soltanto perché è giusto che il padre si volga innanzitutto verso i figli più provati, ma anche perché avevo verso di voi il debito di una promessa. Monsignor Trapani lo ha giustamente ricordato: quando lo scorso anno una delegazione dei Comuni di questa zona venne a rendermi visita in Vaticano, io promisi che avrei ricambiato la gentilezza recandomi di persona nella vostra terra per guardavi negli occhi e perché voi poteste leggere sul mio volto l’intensità dei sentimenti che nutro per voi, per i vostri vecchi, per i malati, per i vostri bambini.
Sì, i vostri bambini. Un gruppo di essi venne qualche anno fa a Roma e fu accolto anche dal mio predecessore, il Papa Paolo VI, il quale, intrattenendosi con loro, ebbe a dire tra l’altro: “Sappiate che noi saremo i vostri avvocati”. La mia visita di oggi si colloca in ideale continuità con l’impegno preso da quel grande Papa nei vostri confronti. Io sono qui per testimoniarvi che la sollecitudine della Chiesa, manifestatasi in vario modo negli anni scorsi, non è venuta meno, ma permane sempre viva ed operante. Sono qui, altresì, per toccare con mano che, nonostante gli oltre quattordici anni passati da quella terribile notte, le conseguenze del sisma non sono ancora state completamente cancellate.
Permane tuttora particolarmente grave il problema della casa: molte famiglie vivono ancora in baracche, sopportando il peso di sì precario stato di cose, indegno di persone civili. Come non levare la voce per denunciare l’innaturale perdurare di una situazione tanto penosa? La casa è esigenza primaria e fondamentale per l’uomo: in essa fioriscono gli affetti familiari, si educano i figli e si godono i frutti del proprio lavoro.
In una Sicilia ricca di storia, di civiltà di tradizioni familiari umane e cristiane, la baracca è una degradazione ed un segno di precarietà, che offende ed umilia. Sia dunque offerta a tutti la possibilità d’una casa decorosa; sia offerta particolarmente ai bambini, i quali hanno bisogno d’un loro nido, d’un luogo sereno e caldo, dove crescere e svilupparsi, senza il rischio di traumi e di malattie.
La mia presenza tra voi, carissimi, vuol essere richiamo ai responsabili e a tutte le persone di buona volontà perché si adoperino, tanto nell’ambito pubblico quanto in quello privato, per affrettare i tempi della ripresa, favorendo il completamento dei piani edilizi ed il rilancio economico e sociale di questa terra del Belice, che ha nelle doti di mente e di cuore dei suoi abitanti i presupposti sicuri per significativi progressi a vantaggio proprio e dell’intera comunità nazionale.
3. Ma, cittadini del Belice, pur sollecitando il doveroso aiuto degli organismi amministrativi, dico a voi: abbiate fiducia soprattutto in voi stessi! Questi anni di traversie non vi hanno portato soltanto privazioni e sofferenze; essi hanno anche rivelato in voi insospettabili riserve di abnegazione e di coraggio, meravigliose risorse di inventiva e di generosità, commoventi slanci di altruismo e di solidarietà. Voi avete dunque ragione di far conto sulle vostre energie per l’impegno di ricostruzione, da cui dipende il vostro futuro.
Certo, è giusto che possiate contare anche sull’apporto della comunità nazionale e sull’onestà di quanti sono preposti all’erogazione del pubblico denaro o alla sua traduzione in opere di comune utilità. Non tutto purtroppo, in questa materia, si è svolto con la necessaria limpidezza, ed è noto che in tali carenze sono state ravvisate da molte parti le ragioni di lentezze e di inadempienze nell’opera di ricostruzione.
È doveroso, pertanto, fare appello al senso di responsabilità di politici, amministratori, appaltatori.
È però necessario richiamare anche ciascun privato cittadino alla consapevolezza dei doveri che su di lui gravano nei confronti del bene comune. È solo col solidale contributo di tutti che si può far fronte a calamità naturali di questa portata ed avanzare sulla strada del civile progresso, creando spazi convenienti alle nuove generazioni, le quali s’affacciano all’esistenza e chiedono di poter recare il contributo delle loro fresche energie al comune benessere.
4. Fratelli e sorelle della Valle del Belice! Ciò che in tempi di difficoltà e di crisi urge soprattutto promuovere è la formazione di coscienze mature, sensibili all’appello dei valori morali. La ricostruzione materiale della vostra terra si attuerà in modo pienamente soddisfacente e darà frutti durevoli nel tempo, se poggerà sulla salda roccia dei valori morali che hanno formato il patrimonio dei vostri antenati, consentendo loro di sopravvivere a difficoltà non minori di quelle da voi oggi affrontate.
Voi sapete quali sono stati i valori che hanno ispirato le scelte di vita dei vostri padri: nonostante le debolezze e le deviazioni che hanno segnato anche le epoche precedenti, è fuor di dubbio che la fede ha illuminato e sorretto i vostri avi, purificandone progressivamente i sentimenti ed orientandone le scelte in senso sempre più conforme alle esigenze della dignità di uomini e di figli di Dio.
È a questa sorgente che deve attingere anche la presente generazione, se vuole raggiungere quei traguardi di libertà, di giustizia e di pace a cui appassionatamente aspira. La fede infatti apre il cuore a Cristo. E Cristo sa “quello che c’è in ogni uomo” (Gv 2, 25). Lui può quindi indicarvi la giusta strada per la piena attuazione delle speranze e degli ideali che ardono nel vostro animo. Non abbiate dunque paura di Cristo, ma apritegli le porte del vostro cuore!
5. Noi siamo ora raccolti intorno all’altare, sul quale egli rinnoverà il mistero della sua passione e della sua risurrezione. Egli è dunque in mezzo a noi. Come non pensare alla scena descritta nella pagina evangelica, testé proclamata? Anche allora c’era molta folla intorno a Gesù, e fu in quella circostanza che il Maestro divino, a chi gli annunciava l’arrivo della Madre e dei parenti, rispose “girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno”: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre” (cf. Mc 3, 31-35).
“Chi compie la volontà di Dio”. Ciascuno senta su di sé lo sguardo indagatore di Cristo, mentre egli ripete per noi queste parole. Il criterio enunciato quel giorno resta valido nei secoli. Ciò che decide dell’appartenenza a Cristo, stabilendo fra lui e l’anima un vincolo spirituale così profondo da poter essere assimilato a quello che lega fra loro i membri della stessa famiglia, è il “compiere la volontà di Dio”. Non v’è altro titolo che, agli occhi di Cristo, possa sostituire quest’unico, fosse pur quello della maternità puramente fisica. Se Maria è la prima creatura nei piani di Dio, ciò è dovuto al fatto che oltre ad essere la madre di Cristo secondo la carne, ha anche accolto la Parola di Dio con disponibilità totale, facendone in ogni ora del giorno sostanza viva della propria esistenza.
Per questo ella “è riconosciuta quale sovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa e sua figura ed eccellentissimo modello nella fede e nella carità” (
Lumen Gentium, 35). A lei, pertanto, ciascun fedele deve guardare per apprendere come si “compie la volontà di Dio” e come si entra in comunione di vita con Cristo, Verbo di Dio disceso dal cielo per amore dell’uomo.
6. Genti del Belice, io affido la vostra terra alla materna protezione della Vergine santissima: la sua effigie ho benedetto poco fa, invocandone l’intercessione per le numerose vittime del terremoto, i cui nomi sono iscritti nella stele marmorea ai suoi piedi.
Accolga Maria sotto il suo manto ciascuno di voi, le vostre comunità, le singole famiglie, e custodisca vivida e ardente nei vostri cuori la fiamma della fede. Salvaguardi nei bambini il candore dell’innocenza; susciti nei giovani la passione per i grandi ideali; ispiri agli sposi il senso vivo della sacralità dell’amore; difenda l’età matura dalle tentazioni dell’opportunismo e del compromesso; conforti la vecchiaia, variamente provata nel corpo e nello spirito, col balsamo interiore della speranza.
Col suo aiuto possa questa vostra terra, carissimi fratelli e sorelle, insieme con l’intera isola di Sicilia restare salda nella professione della fede, continuando a meritare di essere annoverata tra quelle “nazioni numerose” per le quali il profeta Zaccaria previde che avrebbero “aderito al Signore” e sarebbero diventate “suo popolo”. Possa dirsi sempre di questa Isola, sulla quale popoli diversi hanno lasciato tracce gloriose del loro passato, la parola solenne che abbiamo ascoltato nella prima lettura di oggi: “Egli, il Signore, dimorerà in mezzo a te” (Zc 2, 15).
Se il Signore “dimorerà in mezzo a te”, terra di Sicilia che emergi dal mare più ricca di storia, e nei secoli sei stata un crocevia di popoli, potrai svolgere anche nel futuro un ruolo provvidenziale di raccordo tra l’Oriente e l’Occidente, e favorire l’incontro tra civiltà diverse, su tutte riverberando la luce portata agli uomini dal Cristo, Figlio di Dio e Figlio di Maria.
Sì, il Signore “dimorerà in mezzo a te”. Non dimenticarlo! Sta qui il segreto dei tuoi futuri destini.

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